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Aprire tutto è sufficiente per ripartire?

Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? E’ il nome di uno dei dipinti più noti del pittore francese Paul Gauguin. Voglio usarlo per fare qualche riflessione con il lettore su quanto stiamo vivendo. Chiedo anticipatamente scusa se chi legge può essere portato a credere dalle mie parole che io abbia ragione su quello che dico; il mio intento non è avere ragione o persuadere qualcuno, solo scambiare qualche parola.

Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? È anche il nome che voglio dare a questa piccola rubrica virtuale dove affronterò un po’ di temi. Per ora, momento in cui scrivo, ne ho individuati 12 e sono: la sanità (nei prossimi giorni seguirà il nome esatto dell’articolo), il divario tra Nord e Sud Italia, l’economia, la scuola a distanza, la comunicazione, gli anziani, la casa, gli adolescenti, il lavoro ai tempi del Covid, cosa è il Coronavirus (qui chiederò l’aiuto di qualche esperto), il divario sociale, il turismo e le vacanze.

Questo articolo sarà un po’ più lungo degli altri proprio perché introduce questa rubrica. Mi prometto di sottrarre al lettore solo 5 minuti del suo tempo e ogni articolo avrà meno di 2000 parole. Inizierò dall’economia.

Aprire tutto è sufficiente per ripartire?

Si è già appreso che il PIL dell’Italia sarà negativo e di molto: addirittura tre volte peggio rispetto alla grande crisi del 2007. Personalmente ritengo che aprire un’attività, che sia una fabbrica o un bar, non vuol dire fare profitto e guadagnare. Qui sotto una rapida spiegazione di cosa è il PIL; chi lo sa può passare oltre. 

Tre lettere, una parola: che cosa è il PIL?

E’ il Prodotto Interno Lordo. In breve il PIL è un indicatore economico che misura il valore aggregato di tutti i beni e i servizi finali prodotti all’interno di uno stato in un dato periodo di tempo. Nel nostro piccolo come Stato consideriamo l’Italia e il periodo di tempo che solitamente si usa come riferimento è l’anno. Tutti i beni (per esempio un’auto) e i servizi (per esempio una visita medica) sono finali, vuol dire che non vengono considerati i beni intermedi: se il prodotto finito è la scarpa per calcolare il PIL non tengo in considerazione la produzione dei lacci, della suola e del tacco. Il termine valore aggregato è il cuore pulsante di ciò che dirò.

Il valore aggregato del PIL:

Capiamo ora quali sono tutti quegli elementi che, aggregati, quindi messi assieme, esprimono il PIL. Sono cinque: il consumo, l’investimento, la spesa pubblica, le esportazioni nette e l’investimento in scorte. 

Consumo: è la somma di tutti i beni e i servizi acquistati dai consumatori; per esempio il cibo, un vestito, un biglietto aereo, un mazzo di rose rosse. Diciamo subito che in quasi tutti i paesi europei questa è la voce che rappresenta il 60% del PIL: vale lo stesso per l’Italia, teniamolo a mente perché la mia risposta parte da qui.

Investimento: è la somma dell’investimento non residenziale, per esempio l’acquisto di un macchinario per un’azienda, e dell’investimento residenziale, ossia l’acquisto di una nuova casa o di un appartamento da parte di individui. (Il mercato immobiliare è fermo…è un problema!)

Spesa pubblica: sono tutti i beni e servizi acquistati dallo Stato, per esempio un aeroplano o la cancelleria per un ufficio. (Avete mai sentito parlare del MEPA?)

Esportazioni nette: è dato dalla differenza tra esportazioni e importazioni. Le esportazioni sono gli acquisti di beni o servizi nazionali da parte del resto del mondo mentre le importazioni sono i beni e i servizi che acquistiamo noi residenti dall’estero. Se le esportazioni nette sono positive vuol dire che esportiamo di più rispetto a quello che importiamo. (Capite perché alcune persone, ora ancora di più, dicono “compriamo solo prodotti italiani”?!)

Investimento in scorte: in un anno non tutto quello che si produce viene venduto; un auto può essere prodotta nel 2020 ma venduta nel 2021; o ancora può essere prodotta nel 2019 ma venduta nel 2020. Se la produzione eccede le vendite, le scorte aumentano e l’investimento in scorte è positivo.

Qualche riflessione in più sul consumo:

Visto che il consumo rappresenta la parte maggiore del PIL è bene capire cosa effettivamente è il consumo. Sarà riduttivo ma tralascio il consumo pubblico e mi dedico a quello privato, quindi delle persone. Introduciamo un nuovo termine che è quello di reddito: sono le entrate, i guadagni di una persona. In base al reddito disponibile si decide se consumare, quindi spendere, o risparmiare. E qui viene il bello. Le decisioni di consumo e di risparmio sono le due facce di una stessa medaglia: se decido quanto consumare, il resto sarà risparmio; e viceversa. Banale a dirsi ma se le mie entrate sono zero anche i miei consumi saranno nulli; a meno che non chieda un prestito, e sarò in grado di restituirlo? (La crisi del 2007 parte da lì)

Consumo o risparmio?

Abbiamo capito che il consumo è tutto ciò che non si risparmia. E bisogna dire che uno dei più grandi argomenti trattati in economia riguarda proprio le motivazioni che portano a consumare piuttosto che a risparmiare. Keynes, padre della macroeconomia, dice che la relazione tra reddito e consumo è stabile perché dipende dalla psicologia della collettività: quindi in base al consumo, da cui dipende poi la produzione e l’occupazione, si può prevedere l’andamento dell’economia. Si riesce a fare ciò perché la psicologia dei membri di una collettività cambia lentamente ma ad una sola condizione: non deve verificarsi qualcosa di eccezionale. Ed ecco l’anello mancante: qualcosa di eccezionale si è verificato eccome e si chiama Coronavirus. 

Da cosa dipendono i consumi di una famiglia?

Qui si può aprire un mondo che vi dico già essere incompleto perché nelle precedenti righe al concetto di consumo, risparmio e reddito, non ho mai parlato di investimento. Il consumo dipende dalla quantità di moneta, dai tassi di interesse, dalle politiche fiscali ma anche da motivi sociali, culturali e psicologici. Il consumatore medio non è esperto di tassi di interesse, di moneta e di finanza ma è membro attivo di quella che chiamiamo società dei consumi. E’ dimostrato che chi vive in campagna è più propenso al risparmio e così pure le famiglie con tanti figli; al contrario chi vive in città spende di più e chi ha più relazioni sociali sarà ancora più propenso al consumo. Vediamo di capire il perché.

Il consumo dipende dalla società

Il consumo non serve solo per soddisfare i bisogni primari come mangiare e vestirsi; il consumo genera identità sociale e dice quasi tutto dell’io e dello stile di vita. Engel dice che la percentuale di spesa di una famiglia in generi alimentari è tanto più bassa quanto più è elevato il reddito di quella famiglia; al contrario se si ha un reddito più basso si ha un’alta percentuale di consumi in generi alimentari. Veblen parla poi del “consumo vistoso”: si compra qualcosa che costa tanto per dimostrare agli altri la propria ricchezza. Duesenberry aggiunge che è con l’interazione con gli altri che l’individuo propende ad acquistare oggetti di qualità superiore. 

Gli altri:

In sostanza si consuma e quindi si compra qualcosa, oltre che per noi stessi, spesso per farlo vedere agli altri. E qui la prima riflessione che non è per nulla banale: se si sta in casa e le relazioni sociali sono e saranno limitate, l’individuo avrà anche meno interesse a consumare. Pensiamo a un ragazzo di 16 anni che vuole un determinato paio di scarpe perché vanno di moda, vuole fare vedere al gruppo di pari che le ha e quindi le compra; ora, chiuso in casa, a chi le fa vedere? Non ne ha nemmeno bisogno. E così anche un adulto: perché comprare un vestito, una borsa o un orologio se si rimane in casa? La tipologia di beni che prima eravamo soliti comprare ora cambierà.

Cosa compreremo?

Sicuramente beni e servizi che ci fanno vivere meglio la casa. Aumenteranno gli abbonamenti a Netflix perché è il servizio più consumistico da quando c’è; si potrebbe dire molto su come l’avvento di Netflix ha cambiato il nostro modo di fruire le serie tv (o meglio le serie su Netflix, c’è un nuovo lessico). Oppure pensate a Disney Plus, in tanti lo hanno richiesto. Si migliorerà la rete di casa cercando un buon ripetitore del Wi-Fi. Se ci sono le video conferenze o le video lezioni è bene avere una web cam, un microfono (non sempre scontati averli) e delle cuffie per non disturbare chi è vicino. Pensiamo alla mancanza di lievito, farina e uova nei supermercati: non è casuale, mancano perché tutti in casa hanno trovato nel cucinare una pratica di consumo che impegna il tempo libero che prima era minore. Scomparsi anche i gel disinfettanti, l’alcol e guanti in lattice; rimangono le mascherine perché costano troppo per acquistarne tante: prevedo che il prezzo diminuirà e si potranno comprare in pacchi da 100. Alcuni magari cambieranno PC o prenderanno qualche video games in più. Chi ha il giardino prenderà una panchina o le piantine per fare l’orto.  Dai social ho visto amici comprare una nuova aspirapolvere o qualche soprammobile nuovo. Chiusi in casa ma stiamo aprendo le porte di casa nostra grazie ai social, ecco confermato l’aspetto “sociale” del consumo. La domanda iniziale chiedeva se basta riaprire per consumare.

La psicologia e il consumo

Ammesso che il reddito sia rimasto immutato, e che quindi ciò che si guadagnava prima dell’emergenza sia uguale a ciò che si percepisce ora, la persona dovrebbe consumare lo stesso di prima. Non è così: pensiamo a pratiche di consumo quotidiane come un caffè al bar, la benzina per la macchina, una pizza con gli amici o la focaccia per l’intervallo (consumano anche i ragazzi…). Queste pratiche sono scomparse e abbiamo visto che in parte sono sostituite da altro. Ma veniamo alla psicologia, cosa centra? Una famiglia decide di consumare se è sicura che nel futuro non mancherà nulla. E oggi chi può dirlo? Chi lo sa come sarà il domani? La nostra era già una società permeata da dubbi, preoccupazioni e non certezze verso il futuro. Tutto questo, ora, aumenta. E chi ha la possibilità di consumare lo farà come prima o preferirà risparmiare perché “non si sa mai come può andare a finire”. La psicologia ha già scelto per noi. Il Coronavirus sì ci preoccupa per la salute ma è la paura che fermerà il consumo. Se aprono un bar ci andremo a bere il caffè nella tazzina dove prima ci ha bevuto uno sconosciuto che magari ha il coronavirus? Se si devono spendere un 50/100/200 euro per cose superflue, lo faremo con la stessa tranquillità di prima o è meglio tenerli da parte perché, appunto, non si sa mai come può andare a finire.            

Come si riparte?

Bisogna diffondere sicurezza, fiducia e speranza.

Pietro Alongi

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