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Bullismo e buona famiglia




Quando accendiamo il telegiornale o guardiamo una trasmissione televisiva ed apprendiamo una notizia di cronaca, specie quelle più raccapriccianti, siamo come portati a pensare che sia sempre un qualcosa che accade lontano da noi, in un’altra città, in un altro paese. Come se il male non ci appartenesse. Il male è degli altri.

Non è così. Il male è dietro l’angolo, il male c’è, c’è sempre. Ed è più vicino di quanto crediamo. Quante volte abbiamo assistito ad episodi di bullismo? Quante volte li abbiamo visti e ci siamo girati dall’altra parte? O quante volte ancora i primi ad offendere siamo stati noi? A volte basta una parola, anche piccola, che se detta in malo modo può offendere l’altro e fargli del male; “la lingua non ha le ossa ma le rompe”, dice un vecchio proverbio.

Quando si parla di bullismo si parla di tutti noi. Crediamo che ci sia il branco di bulli e poi la vittima. No, non è così. Ci siamo anche noi, noi chi? Noi spettatori silenti. Siamo i peggiori forse. Vuoi perché non vogliamo prenderci delle responsabilità, vuoi perché pensiamo che “tanto ci pensa qualcun altro”, o ancora ci autogiustifichiamo dicendo “ma sono solo amici, staranno scherzando tra di loro”. Ce ne laviamo le mani, come Ponzio Pilato!

Ieri mi ha colpito il caso di bullismo successo a Vigevano. Gravissimo. Il branco è formato da 5 bulli: tre quindicenni, un sedicenne ed addirittura un tredicenne. La vittima ha subito di tutto. Il ragazzino è stato sospeso su un ponte, nudo, e costretto ad atti sessuali. Sul quotidiano locale è stato riportato che è stato “brutalizzato” con una pigna. Faccio una riflessione sul termine “brutalizzare”, vuol dire sì “trattare con modi brutali” ma vuol anche dire “sottoporre a violenza sessuale, stuprare”. Vi ricordate l’episodio di qualche anno fa in cui violentarono sessualmente un ragazzino con un compressore? Ecco, ora è successo con una pigna. Poi, come se non bastasse, hanno fatto ubriacare il ragazzino, gli hanno messo un collare al collo e lo hanno portato in giro come un cane. Le prove? Hanno ripreso tutto con il cellulare, foto e video. Siamo o non siamo nel mondo dei social? Sì, lo siamo. E allora ecco che video e foto vengono diffuse tra gli amici. (Amici? Io non ho amici che mi mandano ste cose, comunque…)



Adesso quei 5 bulli sono accusati di concorso in violenza sessuale, riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù, pornografia minorile e violenza privata aggravata mediante lo stato di incapacità procurato della vittima. Bullismo? Questi, per me, sono dei mostri. E non solo loro ma anche tutti quelli che guardavano e si giravano dall’altra parte. Perché i bulli agiscono se hanno degli spettatori. Non dimentichiamolo.

A Pavia erano già successi casi simili. Prima ad una ragazzina del Cossa che aveva registrato un video hard a casa sua e che poi ha fatto il giro del web per colpa degli “amici” e poi anche al Taramelli. Sì, al Taramelli, dove, a detta di noi provincialotti pavesi, ci vanno i figli della Pavia bene. Solita storia, la ragazzina si fa un video intimo, lo invia al fidanzatino, poi si lasciano e lui si vendica diffondendolo. Ricorderete poi il video di quelle ragazze che si menavano alla Stazione…insomma di casi ce ne sono.

Eppure… “sono ragazzi di buona famiglia”, così dicono i giornalisti, e lo hanno detto anche sul caso di Vigevano. Ieri, su facebook, ho fatto notare che secondo me i ragazzi che compiono quegli atti non possono avere una buona famiglia. Qualcuno mi ha giustamente detto che le mele marce vengono fuori da ogni dove, altri affermano che “buona famiglia non è sinonimo di attenzione ed educazione adeguata”.

Poi mi ha colpito un bellissimo commento della mia carissima amica Romana Bianchi. Un commento che è una bellissima riflessione che vi voglio riportare integralmente:

“Quando i giornalisti o altri affermano “buona famiglia” cosa intendono con l’aggettivo buona? Buona per le condizioni economiche? Buona perché educa ai diritti, ai doveri, al rispetto delle regole, della dignità, delle libertà delle donne e degli uomini? Buona perché insegna solidarietà, rigore, onestà? E poi perché chiamare in causa solo la famiglia? E tutte e tutti non siamo individualmente responsabili di come si organizza la società in cui viviamo? Qui ed ora? E come educhiamo quando pensiamo che sono scarti sociali da espellere dal nostro consorzio umano, si fa per dire, quelli e quelle che hanno la pelle di colore diverso, e penso proprio ai profughi, hanno un altro orientamento sessuale, e penso proprio a gay, lesbiche, trans, hanno forme diverse di disabilità, e potrei continuare? E il linguaggio, le parole scritte che udiamo chi riteniamo ‘nemico’ non c’entrano niente? Insulti, prevaricazioni predicati come cosa buona e giusta. O non c’entra niente additare come eroe chi uccide per difendere un proprio bene materiale? Può succedere, ma da qui ad indicarlo come modello ce ne corre.

E allora mi piacerebbe se imparassimo ad essere meno ipocriti, più attenti a quel che succede intorno a noi, con gli occhi aperti sempre, non solo quando ci fa comodo. E per esempio, pensare ad una società più giusta, meno rabbiosa verso chi è più fragile, più solidale? No, vero? Più facile insultare.

E se l’aggettivo buono non si riferisse solo alle condizioni economiche? Magari alla capacità di educare alla inclusione, alla onestà, al rigore, alla severità e contrastare insulti, esclusione, cattiveria, discriminazione? Se tornassimo a parlarci? Buono tornerebbe ad essere un aggettivo complesso e non brutalmente appiattito solo al possesso di un po’ di beni materiali.”

Grazie Romana per queste riflessioni. Meditiamo tutti.

Pietro Alongi

4 commenti su “Bullismo e buona famiglia

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