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Mino Milani: la Pavia senza memoria e i giovani semianalfabeti




Sono le 17.20, percorro un breve tratto di Strada Nuova, entro in Università e mi dirigo verso il salone Teresiano della biblioteca. Alle 17.30 c’è in programma la conferenza “Pavia senza memoria” con lo storico scrittore pavese Mino Milani. La sala è piena, mi siedo in ultima fila perché ho in mente di andare via prima che finisca perché avevo un incontro per parlare della seconda apertura del Castello di Mirabello.

La prima a prendere la parola è Paola Mo, figlia di Carlo Mo, artista pavese. Dice che “quando si ama si critica” e che per Mino Milani “Pavia è un punto di partenza” e che non si può pensare allo scrittore come ad “una cosa chiusa” perché “è una stupidaggine”.

Paolo Veronesi, editore di Ibis, ci dirotta verso l’oggetto dell’incontro: “Mino Milani ha portato delle critiche e vedremo se queste critiche sono fondate; se sono critiche intelligenti e non polemiche o vuote è giusto che se ne prenda atto e ci si rifletta. La città di Pavia ha bisogno di essere stimolata e dobbiamo cercare di capire come uscire dalla situazione in cui siamo. Il mondo è in un momento di grande cambiamento, quindi è giusto riflettere. Pavia grazie a Mino Milani è andata in giro per il mondo. Lo paragono a Stevenson perché ha saputo tenere due registri: scrittura per ragazzi e narrativa. A Samoa, Stevenson, fu soprannominato “tusitala”, ossia narratore di storie. Questo termine funziona anche per Mino Milani.”

La parola passa al maestro Mino:

“Grazie signori, i vostri applausi mi rendono sordo.

Il giornale (La Provincia Pavese) ha messo un titolo che non mi è piaciuto, nulla contro la giornalista Gaia Curci che mi ha fatto l’intervista per telefono: bisogna scindere giornale e giornalista. Vorrei sgridare i pavesi. Il problema è raccontare Pavia, qualcuno mi dice “ma tu racconti sempre Pavia”, devo parlare di Benevento? Parlo di ciò che so. Pavia è una città di ricordi. È piena di momenti in cui siamo chiamati a ricordare. Ma non è ricca di memoria. Il ricordo va e viene e può fermarsi. La memoria significa conservare quello che il passato ci ha dato e farne tesoro e se è il caso prendere a modello senza paura. Questo comporta non lasciarsi plagiare da un presente che ormai scorre troppo in fretta. E non lasciarsi plagiare da un futuro che non esiste e che è imprevedibile. Il passato è una fonte da cui possiamo bere. Ma a Pavia quest’acqua non piace, siamo senza memoria. In questo momento il mio amico Luigi Casali sta tenendo la riunione col suo comitato sul Castello di Mirabello. È stato aperto per 24 ore e due mila persone sono andate; molti pavesi non sapevano neanche che esistesse. Pavia lo ha dimenticato.

Alla fine dell’800 c’era un problema di disoccupazione forte e la giunta comunale ebbe l’idea di impiegare i disoccupati per demolire le mura della città; questo ci ha impedito per sempre di fare concorrenza a Lucca, vincendo magari il confronto. Per dire il rispetto.

Un altro riferimento più triste, è la nostra malaugurata commissione toponomastica: quando si costruì la zona Vallone/Crosione, si aveva una cinquantina di vie a cui dare il nome. Pizza della Vittoria, a noi italiani piacerebbe si chiamasse piazza della sconfitta. Il comune di Reggio Emilia fece una mostra in ricordo della grande guerra, scelsero Caporetto, la sconfitta. A noi piace la sconfitta, che tristezza. Al vallone presero l’elenco delle regioni. Potevamo ricordare tanti nostri pavesi.”

 




Paolo Veronesi riprende la parola e gli chiede: “Da dove ripartiamo? Come facciamo a fare ripartire una città? A Pavia arriva l’1,5% del turismo lombardo. Abbiamo luoghi che non riescono ad essere attrattivi. Non ci sono gli alberghi, non ci sono i luoghi di accoglienza. Dobbiamo valorizzare quello che abbiamo ed essere dinamici.”

Riprende Mino Milani:

“Non ripartiamo dal turismo. Pavia è una città che offre soltanto cose intellettuali. Non abbiamo il grande monumento, perché è a 6 chilometri da noi, che è la Certosa. Abbiamo delle bellissime case romaniche che implicano una preparazione intellettuale e il gusto. La gente vuole lo spettacolo.

Penso poi al rapporto della città con il fiume, io non so quante volte all’anno i pavesi vedono il fiume. O la poesia dialettale Pavese. Bisogna affrontare la realtà di oggi. Potrei addirittura citare gli anni precisi in cui i pavesi hanno deciso di battersi: 1315 e 1356. La prima volta in cui entrano a Pavia i soldati stranieri e sono i milanesi. I milanesi ci hanno violato.

Mi sono sempre chiesto il perché non si è mai deciso di fare una provincia viscontea: Pavia, Novara, Vercelli, Piacenza. In quegli anni i pavesi smisero di sorridere, smisero di andare avanti. Pavia da lì in avanti non è più stata quella. Perché i proprietari pavesi non sfruttano le loro ricchezze, col terreno fertile che hanno i pavesi non lo fanno rendere.




Paolo Veronesi fa notare che “oggi il turismo è culturale, enogastronomico. Non sappiamo però sostenere le nostre ricchezze. Abbiamo i musei chiusi…”

Ribatte Mino Milani:

“Quanto alla città turistica è questione di intendersi. È una città per due, per amanti. Se fossi un forestiero che viene con la ragazza a Pavia rimarrei incantato. Poi arriva mezzogiorno, devi mangiare, e Pavia offre la pizza con i ristoranti chiusi la domenica. Ci fu un Pavese che parlo di “pavesità”, se tu trascuri il tuo patriottismo locale che cosa si fa? Dove vai? Ti difendi “sei Pavese” e cosa vuol dire? Diventa un lato negativo e ci spinge a tenere chiusi. Pavia cosa ha da offrire? Che si fa? Chi ci ha dato questo DNA? La storia? Ci siamo dati noi questa linea di chiusura. Milano non piace e coi grattacieli piace anche di meno. Un grattacielo non dice niente.”

Veronesi fa notare che “Pavia anche se è vittima di Milano un suo spazio può ancora trovarlo e che magari grazie ai giovani si può rialzare”.

E qui arriva il Mino Milani che non mi piace; ecco come risponde:

“Sono delle speranze, degli auspici. I Giovani non hanno mai avuto così tanto. Io non credo che da questi giovani ci sia da aspettarsi granché. Molte famiglie borghesi ricche di Pavia li mandano appena laureati all’estero, però non riguarda soltanto Pavia. Cosa fa uno qui? L’università storica, con una biblioteca storica e con un ospedale che sta per decadere forse per un discorso politico. Tu dici futuro? Quale futuro? Feci un incontro sul problema del lavoro. Si fecero un incontro con i lavori disponibili subito. Volevano entrare come funzionari in banca o nel pubblico. Non gli interessava di fare il tornitore. Volevano il sabato e la domenica libera. La cosa triste è quando vedo tre belle ragazze che non parlano tra di loro ma con lo smartphone. Dove è che il lombardo è ancora in grado di lavorare e fare dei sacrifici? I Giovani cosa sono? Una volta ballavano il twist e oggi cosa sono? I giovani d’oggi sono semianalfabeti.”

Qualcuno dal pubblico si agita, specialmente la mia vicina! E’ Daniela Bonanni, fondatrice di Spaziomusica, che tra le tante cose fa giustamente notare che a Pavia le iniziative ci sono.

Decido poi di prendere la parola. Va bene tutto, ma dire pubblicamente che noi giovani siamo semianalfabeti non mi va proprio. Prima di me parla un ragazzo che studia filosofia, dà ragione a quello che dice Mino. Io no.

Esordisco così: “Dovevo essere anche io con l’amico Luigi Casali a parlare del Castello di Mirabello, eppure ho preferito venire qui. Dopo che ha parlato di noi giovani mi sono ricreduto! Anche se sono sicuro che l’abbia fatto per spronarci. Mi sento di difendere noi giovani, non è vero che non abbiamo voglia di fare, per lo meno non tutti e non bisogna mai generalizzare. Tante volte, è vero, incontriamo degli ostacoli. E spesso quegli ostacoli sono proprio le persone di una certa età. Concludo, dicendovi che il 21 maggio apriremo per la seconda volta il Castello di Mirabello e siete tutti invitati!”

I presenti mi sorridono, fanno un applauso generale. Mi siedo. Si avvicina un giornalista della Provincia Pavese, mi chiede come mi chiamo e quando aprirà il Castello.

Pietro Alongi

In foto: Paolo Veronesi, Paola Mo e Mino Milani durante la conferenza presso la biblioteca universitaria di Pavia

2 commenti su “Mino Milani: la Pavia senza memoria e i giovani semianalfabeti

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