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Riflessioni sulla morte

Oggi è il giorno dei morti e proprio in questa giornata voglio fare qualche riflessione sulla morte. Sembrerà banale a dirsi ma la morte è esattamente la fine della vita. Sicuramente è la fine della vita terrena e per chi crede è l’inizio di una vita ancora più grande e duratura, quella eterna. Già qui ci si potrebbe imbattere in una grande discussione, perché, diciamoci la verità, chi di noi aspira alla vita eterna? Magari chi è in là con l’età inizia a pensarci, ma chi è giovane sicuramente non lo fa.



La morte, per tutti, è legata a qualcosa di estremamente negativo che ci fa rabbia perché crea un distacco fisico dalle persone a cui teniamo. Perdiamo la loro fisicità, la loro materialità: non ci sono più, le cerchi e non ci sono. Puoi immaginarle, ricordarle, ma non ci sono e non torneranno.

Anni fa mi è capitato qualcosa di grandioso: ho visto morire mio nonno tra le mie braccia, ha spirato mentre gli tenevo la testa. Gli ultimi sospiri li ha dati con noi lì riuniti. Ho pianto, perché ho visto morire una persona cara, eppure, allo stesso tempo, qualcosa dentro di me mi diceva che morte migliore non ci potesse essere. Morire all’età di 89 anni, senza nessuna malattia, tra le braccia di un nipote, di un figlio e di una nuora penso sia una grande fortuna. E per me, averlo visto morire, è stato un privilegio.

Quando si viene al mondo è tutto bello, è una grande festa, c’è sicuramente nostra madre con noi, nostro padre, gli infermieri, i dottori, poi iniziano ad arrivare i parenti, gli amici. Tutti sono lì. Quando nasciamo si è in compagnia. Quando si muore non possiamo saperlo. All’età di 26 anni non penso alla mia morte, ma se ci dovessi pensare non vorrei che questa avvenisse in solitudine. La morte in sé, ora, non mi fa paura, la solitudine sì. Non posso scegliere dove o accanto a chi morire, ma da solo e dimenticato no.

Noi italiani, cattolici per eccellenza, non siamo per nulla pronti alla morte. Quando mio nonno era alla camera ardente, prima che la salma partisse per la Sicilia, ho voluto chiamare il mio prete per fargli dare una benedizione. La prima cosa che mi disse fu: “cosa aveva?”, “niente” risposi. Mio nonno non aveva nulla. Riflettendoci mi fa pensare che addirittura un prete arrivi a stupirsi della morte di un uomo di 89 anni. Lui, chiamato dal Signore, dovrebbe convincere noi della vita eterna, eppure, nulla.

La morte deve essere sempre giustificata. Non si può morire per “niente”, non si può morire di morte naturale. Non siamo pronti ad accettare la morte. Questo discorso, ci tengo a sottolinearlo, non vale per le morti premature, per i bambini, i ragazzi, giovani genitori e così via. Perché quella non è morte naturale.

Qualche anno fa è morto il fidanzato di una mia amica, aveva la mia età, quella è stata una morte innaturale. Non puoi morire a 24 anni, qualunque sia il motivo. A 24 anni la morte non la si accetta. Non la si può e non la si deve accettare. A 24 anni ci deve essere spazio solo per la vita. Se ci penso, mi vengono i brividi. Mi vengono i brividi a pensare alle urla della madre e ai pianti degli amici. Mi vengono i brividi a pensare alla bara interrata con noi ragazzi lì a guardare.

La morte fa parte della vita più di quanto noi crediamo. Ma non siamo pronti. Non lo saremo mai. La morte non ci piace perché ci fa paura. E la paura è un nobile sentimento che proviamo quando non conosciamo qualcosa. La morte non possiamo conoscerla. La conosciamo indirettamente perché la vediamo negli altri, ma non in noi.

“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza” scriveva Lorenzo il Magnifico ne “La Canzona di Bacco e Arianna. Ed è così, del domani non c’è veramente certezza, il domani non lo conosciamo, la morte non possiamo conoscerla, non sapremo come ci andrà a finire. Sì, finire, perché la morte è la fine.



E se quindi non sappiamo quale sarà la nostra fine, interessiamoci dell’oggi: “Chi vuol esser lieto, sia!”. Ecco allora che per me la morte è quando non viviamo. E moriamo ogni qualvolta ci comportiamo male sia con noi stessi che con gli altri.

Moriamo, ad esempio, quando non facciamo quello che il nostro istinto, il nostro cuore, la nostra mente, o il nostro corpo ci dice di fare. Il fare è qualcosa che ci porta a vivere, se non facciamo, non viviamo. Se non siamo liberi. Ovviamente di una libertà sana e che non vada ad intaccare quella degli altri.

Moriamo, poi, quando facciamo del male agli altri, quando mettiamo dei muri tra noi e l’altro. Quando siamo invidiosi, quando siamo cattivi, quando sparliamo, quando godiamo nel vedere l’altro che sta male e magari piuttosto che aiutarlo infieriamo per farlo stare pure peggio. Questa è la morte. La morte c’è ogni qualvolta noi lasciamo spazio al male.

La vita è davvero una, perché dobbiamo litigare? Perché non dobbiamo parlarci più? Perché ci evitiamo? perché non ci frequentiamo? Perché non ci ascoltiamo? Perché non ci abbracciamo? Perché non facciamo una carezza a chi vogliamo bene? Perché non diamo un bacio alla persona che amiamo? Perché non ci lasciamo andare? Perché ci mettiamo dei freni? Perché non doniamo un sorriso o una parola dolce agli altri? Perché non diamo un’attenzione agli altri?

Solo così si vive, facendo del bene. La vita è una, le morti sono tante. Sta a noi scegliere se vivere o morire.

Io scelgo la vita e vi voglio bene!

Pietro Alongi

 

Se vuoi leggere qualche altra riflessione: 25 anni, un quarto di secolo e Le relazioni in oratorio

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