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Incontro con la morte

Incontro con la morte

Questa in foto è la nostra tomba di famiglia. Da piccolo la scambiavo per un album di figurine: in alto c’era pure il nome della squadra “FAM. ALONGI PIETRO”. Ci restavo male perché le caselle della mia squadra erano tutte vuote mentre le altre no. Non capivo che per riempirle si dovesse prima morire anche perché non sapevo cosa fosse la morte. 

Il ricordo più lontano della morte è con Santo, un cugino che abita in Emilia Romagna; non ricordo nulla ma andammo al suo funerale. Ho pianto quando è morta la nostra cugina Calogera, le volevo bene: giocavamo a carte. Ricordo un compagno della materna che morì bambino durante le elementari: Edoardo; chiesi a mio papà di portarmi nella sua scuola, mi aspettavo di vedere non so nemmeno io cosa. 

L’obitorio lo vidi per la prima volta quando morì la mamma di Franca, ci rimasi male perché non mi fecero entrare. Ricordo quando ci hanno telefonato per dirci che era morto lo zio Cicco. Poi è successo alle mie nonne ed è stato un qualcosa che mi ha toccato più da vicino. 

Tre anni fa oggi moriva mio nonno Pietro: mio papà al telefono con il Pronto Soccorso, mia mamma che provava a rianimarlo e io che gli tenevo la testa; è spirato tra le nostre braccia. 

Alla morte non siamo pronti e non sappiamo che dire, per questo diciamo cose senza senso che si trasformano in gag comiche. Due anni fa a Sutera siamo andati a vedere un morto, faceva caldissimo. Le vecchiette sedute che si asciugavano il sudore e l’unico ventilatore era puntato sul morto: mio papà, da serio, esclama “lu zì (non ricordo il nome) sì ca sta bellu friscu, beatu iddu”. (Lui sì che sta bello fresco, beato lui)

Davanti al morto ci si lascia andare a frasi come “sembra che stia dormendo” oppure “e’ proprio lui”. Tra 200 anni se le dicessero a me vorrei tornare in vita giusto per dire “ma tu mi hai mai visto dormire mentre ero in vita?”, oppure “sì che sono io, chi deve essere?”.

Una gag comica è capitata anche a me. L’anno scorso, a fine marzo, mi trovavo all’Isola di San Giulio, sul Lago d’Orta. Entro dentro la chiesa dell’abbazia benedettina Mater Ecclesiae e c’è una bara con il frigorifero acceso e dentro una suora. Chiunque si avvicinava a lei e piangeva. Io non capivo ma mi sentivo in dovere di fare qualcosa pure io. Allora mi avvicino, mi inginocchio e dico una preghiera perché male non fa. Un signore si avvicina e mi dice “mi ha aiutato tanto” e poi inizia a piangere. Poi mi riguarda e mi dice “era così una brava persona” e continuava a guardarmi perché si aspettava che gli dicessi qualcosa. Poi mi riguarda “quanto bene che ha fatto”. A quel punto mi prendo di coraggio e gli dico “ha aiutato tanto anche me, era proprio una gran brava persona, mancherà a tutti noi”. Esco, cerco su internet, e la suora morta era la badessa Anna Maria Cànopi che aveva fondato quell’ordine di suore. 

Fateci caso, quando si muore si diventa tutti brave persone!

Qui trovate un altro racconto su questo tema: riflessioni sulla morte; ogni tanto ne parlo. Con il passare degli anni ho perso tanti parenti, amici e conoscenti; di ogni età. Non ho paura della morte in sé ma ho paura di morire. Quel giorno, lontano, spero che i miei figli mi mettano un vestito elegante e scelgano una bella foto. 

“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.”

Pietro Alongi